SICOMORO: INCONTRO CON PADRE VIOREL

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I ragazzi del sicomoro, durante la loro settimana di condivisione di gennaio, giovedì sera hanno incontrato Padre Viorel, sacerdote greco cattolico, originario della Romania, a Crema da sette anni. Un incontro interessante, iniziato con la preghiera presso la chiesa della Madonna di Lourdes che il vescovo Oscar ha concesso in comodato gratuito alla comunità cattolica romena di rito greco-bizantino.

Nella prima parte dell’incontro il padre ha spiegato brevemente l’origine e il significato del movimento ecumenico, mentre nella seconda parte, attraverso i segni liturgici, si è soffermato sulla “divina liturgia” greco-bizantina, spiegandone ai ragazzi i significati, le usanze, le tradizioni: l’iconostasi con le sue tre porte (la porta reale, quella centrale e quelle diaconali, le laterali), il significato delle icone, l’altare centrale e l’altare delle offerte, insieme ad altri oggetti e suppellettili sacre, tipiche della tradizione orientale.

Grazie a padre Viorel per la disponibilità; la conoscenza reciproca delle ricchezze di ogni tradizione ecclesiale alimenti in ciascuno il desiderio dell’unità e della pace in Cristo.

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GRUPPI VOCAZIONALI IN CAMMINO

Continuano il loro cammino i gruppi vocazionali che coinvolgono i ragazzi delle scuole medie. E’ una gioia vedere ragazzi e ragazze contenti di parteciparvi, che invitano dei loro amici, e così si cresce nella fraternità e nell’amicizia con il Signore Gesù! Come potete vedere dalle foto, i numeri sono buoni, speriamo che lo divengano anche per la proposta (più impegnativa ma bella) del Sicomoro…

Un sincero grazie ai genitori che accettano e condividono la proposta per i loro figli e agli animatori-animatrici vocazionali che offrono il loro tempo e la loro testimonianza. Avanti! Insieme.

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il gruppo delle ragazze, con suo Rosy, don Ale e le animatrici

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il gruppo dei ragazzi, con Alessandro, don Angelo, mentre salutano il vescovo Daniele

GIORNATA DI PREGHIERA E DI SOSTEGNO PER IL SEMINARIO DIOCESANO

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Il buon Pastore. Mario Toffetti 2015, particolare della cattedra episcopale del Duomo di Crema

DOMENICA 22 GENNAIO si celebrerà in tutte le parrocchie della Diocesi la Giornata per il Seminario. Preghiamo il padre della messe perché mandi operai per sua messe. Possibilmente numerosi, ma sopratutto santi, uomini secondo il suo cuore.

In allegato potete scaricare:

lo schema di animazione per la celebrazione eucaristica

lo schema per l’adorazione eucaristica

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Da sinistra: Daniele, Piergiorgio, don Francesco, don Nicholas, Alessandro, don Giovanni e Cristofer

DON DANIELE GIANOTTI NUOVO VESCOVO DI CREMA

Oggi il santo Padre Francesco ha fatto un bel regalo alla nostra chiesa diocesana, orfana di pastore da qualche mese, nella persona di don Daniele Gianotti, classe 1957, presbitero della diocesi di Reggio Emilia – Guastalla.

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il vescovo eletto Daniele, sorridente, all’ingresso come parroco dell’unità pastorale di Bagnolo al piano

Don Daniele ci è apparso come un uomo mite e sensibile, un pastore appassionato del proprio gregge; un sacerdote colto ma anche capace di unire, nel suo modo di presentarsi, testa, cuore e mani. Nelle sue brevi parole rivolte alla chiesa cremasca, il vescovo eletto ha voluto avere un ricordo particolare per il presbiterio, per le famiglie, per le persone povere e ammalate; per chi vive un momento di difficoltà. una menzione speciale per il seminario, i seminaristi e i giovani in ricerca. Caro padre, l’augurio che ti facciamo è quello di sentirti subito a casa, assicurandoti la nostra filiale preghiera. Noi ti aspettiamo con sana trepidazione e con un ardente desiderio di conoscerti e apprezzare le tue doti di uomo e di pastore. A presto!

La commissione di pastorale vocazionale diocesana

Le prime parole del vescovo eletto alla sua nuova Diocesi

Alla santa Chiesa di Dio che è in Crema

Cari fratelli e sorelle in Cristo,
ero molto lontano dall’immaginare, mentre mi preparavo con le mie comunità parrocchiali a celebrare il Natale, che sotto l’albero avrei trovato un dono inaspettato: e che dono! Quello di una Chiesa locale, la Chiesa di Dio che è in Crema, santa e amata, porzione eletta del Popolo di Dio alla quale papa Francesco ha voluto destinarmi, perché fossi prima di tutto «cristiano con voi», e poi anche «vescovo per voi».

Pur sapendo che i doni di Dio sono sempre immeritati, di questo dono così speciale, che siete voi, Chiesa cremasca, so di essere particolarmente indegno: e dunque desidero venire da voi con molta umiltà e piccolezza. Se, come ricorda il Papa ai vescovi, i pastori devono camminare con il Popolo di Dio, a volte «davanti, indicando il cammino, indicando la via»; altre volte «in mezzo, per rafforzarlo nell’unità»; e altre ancora dietro, «sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove strade», ebbene, in questo momento mi sento davvero all’ultimo posto, ultimo arrivato di una Chiesa ricca di doni e bella per ciò che lo Spirito di Cristo opera in essa e dalla quale so di dover anzitutto ricevere molto. In queste settimane, dopo aver saputo della volontà del Santo Padre Francesco di nominarmi vostro vescovo, ho riflettuto molto – consapevole anche della distanza che mi separa dal nostro «padre nella fede» – sulla chiamata rivolta ad Abramo: chiamata a lasciare la propria terra, la famiglia, la parentela… per partire verso la terra che Dio gli avrebbe indicato, fidandosi solo della sua promessa (cfr. Gen. 12, 1 ss.). Mi sono sentito, e ancora mi sento, più che mai vicino al grande patriarca; con una differenza importante, tuttavia: Abramo partì «senza sapere dove andava» (Eb 11, 8), mentre io so dove sono chiamato ad andare; e non tanto per le alcune notizie che ho potuto raccogliere nei giorni scorsi, quanto perché so che la Chiesa di Dio che è in Crema è amata dal Signore Gesù Cristo come la sua Sposa; so che Egli ha dato la sua vita per santificarla e renderla bella e splendente; so che è ricca della Parola del Vangelo che le è annunciato, dei sacramenti che la vivificano, dei doni dello Spirito che le sono distribuiti in abbondanza; so che in essa è veramente presente la Chiesa di Dio, una santa cattolica apostolica (cfr. CONCILIO VATICANO II, decreto Christus Dominus 11).

Se dunque Dio, attraverso la chiamata del papa, mi chiede di allontanarmi dalla mia famiglia, dalla mia regione, dalla Chiesa che mi ha generato nella fede e nel ministero presbiterale, e soprattutto dalle parrocchie nelle quali ho vissuto così poco tempo, non è per mandarmi in un deserto inospitale, ma per inviarmi nel «campo di Dio», che siete voi, campo già ricco di molti frutti, per fare con voi la mia parte nel seminare e irrigare, sicuro che Dio farà crescere e preparerà un raccolto sovrabbondante (cfr. 1 Cor 3, 5-9).

Grazie a tutti voi, in anticipo, per la bontà e la pazienza con la quale vorrete accogliermi e vorrete, fin da questo momento, pregare per me, perché possa rispondere generosamente al dono che Dio mi fa, affidandomi la Chiesa cremasca, facendo a mia volta di tutta la mia vita un dono senza riserve per voi.

Mi affido in modo particolare alla preghiera degli ammalati, degli anziani, dei poveri, di chi è nella tribolazione e nell’angoscia per i motivi più diversi; delle famiglie, così importanti e così poco riconosciute e valorizzate nella nostra società; dei giovani e dei ragazzi e ragazze, dai cui desideri e progetti e sogni spero di essere lietamente contagiato; dei consacrati e delle consacrate che arricchiscono con i loro doni la nostra Chiesa.

Una parola particolare desidero spendere per il presbiterio diocesano: ed è anzitutto, e di nuovo, la parola grazie, grazie per voi, confratelli nel ministero presbiterale, per ciò che siete e fate per la Chiesa cremasca; è in primo luogo attraverso il vostro ministero, la vostra collaborazione e amicizia che spero di riuscire a conoscere, amare e servire sempre meglio questa Chiesa che ora è anche mia. Con voi e per voi spero di essere partecipe di gioie e speranze, come pure di inevitabili delusioni e fatiche, che sostanziano la vita delle parrocchie e delle altre realtà che costituiscono la Chiesa cremasca. E spero che insieme potremo essere di incoraggiamento, sostegno ed esempio per i giovani che nel nostro Seminario si preparano al ministero e per quanti altri il Signore vorrà chiamare su questa via.

Saluto e ringrazio il mio predecessore, mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como, che ha servito e guidato la Chiesa di Crema per undici anni: la sapienza e carità pastorale di cui ha dato prova in questi anni mi sono già stati, nelle settimane scorse e senza ancora conoscerlo personalmente, di grande aiuto, e spero che non mi farà mancare neppure in futuro il suo consiglio e la sua preghiera. Grazie all’Amministratore diocesano don Maurizio Vailati, che sta guidando la diocesi in questo periodo di sede vacante: Dio lo ricompensi, insieme con tutti i collaboratori della Curia e dei vari uffici e servizi diocesani.

Saluto e ringrazio anche tutte le autorità civili e in particolare le Amministrazioni dei Comuni presenti nel territorio diocesano, insieme con tutti coloro che hanno responsabilità nei più diversi settori dell’ordine pubblico e della vita civile, sociale, politica, educativa, culturale, economica… Anche dalla loro intraprendenza e competenza conto di imparare non poco.

È mio vivo desiderio celebrare la Pasqua con voi e dunque essere in diocesi agli inizi di aprile; in attesa di quel momento e, prima, dell’Ordinazione episcopale, vi assicuro il mio ricordo quotidiano nella preghiera, e anche a voi chiedo ancora: pregate per me, e anche per le «mie» comunità parrocchiali, che ora devono aspettare un nuovo parroco!

Dio vi benedica e doni a tutti un nuovo anno ricco dei suoi doni di grazia. La Vergine Maria, particolarmente venerata nel Santuario di S. Maria della Croce, e San Pantaleone nostro patrono, intercedano per noi tutti.

Bagnolo in Piano (RE), 11 gennaio 2017
don Daniele Gianotti

ALZATI, VA’ E NON TEMERE: CONVEGNO NAZIONALE VOCAZIONI 2017

Si è svolto, come da consuetudine, a Roma, nei giorni 3-4-5 gennaio, il convegno nazionale vocazioni promosso dalla CEI, che quest’anno ha avuto come slogan: “Alzati, va’ e non temere“. Il tema, che coniugava santità e missione, è stato affrontato in tre momenti, che corrispondevano ai tre verbi richiamati. Circa settecentocinquanta sacerdoti, religiose, religiosi, laici e famiglie hanno partecipato a questo grande appuntamento, che avuto il suo àpice (per la prima volta) nell’udienza che papa Francesco ha voluto offrire a tutti i membri del convegno, in sala Paolo VI, giovedì mattina. La nostra diocesi è stata rappresentata da don Angelo, accompagnato da Clara e Marcello Cantoni, membri della commissione vocazionale diocesana.

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Pubblichiamo l’articolo apparso sul sito di Radio Vaticana che sintetizza il significativo e apprezzato intervento che il papa ha tenuto ‘a braccio’.

Per avere vocazioni, bisogna pregare, ascoltare i giovani e metterli in movimento. E’ quanto raccomanda Papa Francesco che ha consegnato il testo scritto e si è rivolto con un discorso a braccio ai circa 800 partecipanti al Convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana. Francesco li ha ricevuti in udienza stamani in Aula Paolo VI, al termine del loro incontro di tre giorni sul tema: “Alzati, va’ e non temere. Vocazioni e Santità: io sono una missione”.

Il Papa traccia la strada per chi si occupa della pastorale vocazionale e indica, fondamentalmente, i binari su cui procedere: la preghiera, la porta aperta, l’ascolto, l’apostolato del camminare e la testimonianza. La questione delle vocazioni è un tema centrale. Lo sguardo è rivolto all’Assemblea sinodale del 2018 che avrà al centro proprio il tema: “Giovani, fede e discernimento vocazionale”.

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Preghiera e porte aperte
Fondamentale è la preghiera, nota Francesco. Una preghiera che però sia con la porta aperta. Per avere vocazioni, è dunque necessaria l’accoglienza dei giovani. E per spiegare cosa significhi pregare ma con la porta aperta, Francesco fa riferimento alla prima parola del motto del Convegno della Cei, “Alzati”. Quando il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, ha ricordato appunto il tema dell’incontro, a Francesco è venuto in mente che “Alzati” è la stessa parola rivolta dall’Angelo a San Pietro quando si trovava in carcere. San Pietro viene liberato, va in una casa ma deve bussare alla porta più volte perché inizialmente le persone riunite lì in preghiera non credevano che fosse veramente lui. Così tanti giovani magari sentono quell’esortazione – “Alzati” – ma per paura si preferiscono chiudere le porte. Aprire le porte significa invece rischiare. Francesco ricorda infatti che ci sono diocesi ricche di vocazioni. Sono quelle dove i vescovi chiedono alle persone di pregare per le vocazioni:

“Ho saputo di alcune diocesi che sono state benedette da vocazioni, nel mondo: alcune. Parlando con i vescovi: ‘Ma, cosa avete fatto?’ Ma, prima di tutto, una lettera del vescovo, ogni mese, alle persone che volevano pregare per le vocazioni: le vecchiette, gli ammalati, gli sposi”.

Il primo compito dei vescovi è quindi la preghiera, il secondo l’annuncio del Vangelo. Senza il lievito della preghiera infatti si può fare l’organizzazione più perfetta ma non avrà forza. Il Papa fa, come sua abitudine, alcuni cenni concreti. Ad esempio, quando nelle parrocchie alcune volte viene scritto sulla porta che le confessioni sono da quell’ora a quell’ora. Il riferimento è in generale, a tutto il mondo, non ai parroci italiani che, anzi, Francesco torna a lodare: i parroci italiani sono bravi, sottolinea, basti pensare al volontariato e agli oratori, ai tanti parroci di campagna che servono diversi paesini.

L’apostolato dell’orecchio e del camminare
Se vogliamo vocazioni, sottolinea, porta aperta, preghiera e inchiodati alla sedia per sentire i giovani, ascoltarli più che parlare loro. Dire una parola che sarà un seme che lavorerà dentro. L’apostolato dell’orecchio. E’ quindi importante, ribadisce, “perdere tempo” con i giovani. E ancora l’apostolato del camminare, cioè far camminare i giovani accompagnandoli. E Francesco spiega come:

“Inventare azioni pastorali che coinvolgano i giovani, ma in qualcosa che faccia fare loro qualcosa. Nelle vacanze andiamo una settimana a ‘missionare’ quel popolo o a fare aiuto sociale a quell’altro o tutte le settimane andiamo in ospedale, questo, quello … o a dare da mangiare ai senzatetto nelle grandi città … I giovani hanno bisogno di questo”.

Bisogna dunque metterli in cammino, perché i giovani che hanno tutto assicurato sono giovani in pensione. Nei suoi viaggi sia italiani sia internazionali, Francesco di solito infatti incontra i ragazzi in una riunione o a pranzo e loro fanno domande, sono inquieti: ma l’inquietudine è una grazia di Dio e bisogna farla camminare, proporre cose da fare.

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papa Francesco scende a salutare i partecipanti, accompagnato da don Nico, direttore CNV

E’ la testimonianza che attira i giovani
E infine centrale è la testimonianza di sacerdoti e suore. La maggior parte delle volte infatti la chiamata consiste nel voler diventare come quella o quello. Non essere persone che cercano sicurezze, che chiudono le porte, che non hanno tempo ma persone in cui si possa vedere quello che predicano, esorta Francesco. E’ infatti la testimonianza che attira i giovani.

(Debora Donnini)

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA 54esima GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI (2017)

Cari fratelli e sorelle,

negli anni scorsi, abbiamo avuto modo di riflettere su due aspetti che riguardano la vocazione cristiana: l’invito a “uscire da sé stessi” per mettersi in ascolto della voce del Signore e l’importanza della comunità ecclesiale come luogo privilegiato in cui la chiamata di Dio nasce, si alimenta e si esprime.

Ora, in occasione della 54a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, vorrei soffermarmi sulla dimensione missionaria della chiamata cristiana. Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio nella carità. Tutti i cristiani sono costituiti missionari del Vangelo! Il discepolo, infatti, non riceve il dono dell’amore di Dio per una consolazione privata; non è chiamato a portare sé stesso né a curare gli interessi di un’azienda; egli è semplicemente toccato e trasformato dalla gioia di sentirsi amato da Dio e non può trattenere questa esperienza solo per sé: «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 21).

L’impegno missionario, perciò, non è qualcosa che si va ad aggiungere alla vita cristiana, come fosse un ornamento, ma, al contrario, è situato nel cuore della fede stessa: la relazione con il Signore implica l’essere mandati nel mondo come profeti della sua parola e testimoni del suo amore.

Se anche sperimentiamo in noi molte fragilità e possiamo talvolta sentirci scoraggiati, dobbiamo alzare il capo verso Dio, senza farci schiacciare dal senso di inadeguatezza o cedere al pessimismo, che ci rende passivi spettatori di una vita stanca e abitudinaria. Non c’è posto per il timore: è Dio stesso che viene a purificare le nostre “labbra impure”, rendendoci idonei per la missione: «E’ scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”» (Is 6,6-8).

Ogni discepolo missionario sente nel cuore questa voce divina che lo invita a “passare” in mezzo alla gente, come Gesù, “sanando e beneficando” tutti (cfr At 10,38). Ho già avuto modo di ricordare, infatti, che in virtù del Battesimo, ogni cristiano è un “cristoforo”, cioè “uno che porta Cristo” ai fratelli (cfr Catechesi, 30 gennaio 2016). Ciò vale in modo particolare per coloro che sono chiamati a una vita di speciale consacrazione e anche per i sacerdoti, che generosamente hanno risposto “eccomi, Signore, manda me!”. Con rinnovato entusiasmo missionario, essi sono chiamati ad uscire dai sacri recinti del tempio, per permettere alla tenerezza di Dio di straripare a favore degli uomini (cfr Omelia Santa Messa del Crisma, 24 marzo 2016). La Chiesa ha bisogno di sacerdoti così: fiduciosi e sereni per aver scoperto il vero tesoro, ansiosi di andare a farlo conoscere con gioia a tutti! (cfr Mt 13,44).

Certamente, non poche sono le domande che sorgono quando parliamo della missione cristiana: che cosa significa essere missionario del Vangelo? Chi ci dona la forza e il coraggio dell’annuncio? Qual è la logica evangelica a cui si ispira la missione? A questi interrogativi possiamo rispondere contemplando tre scene evangeliche: l’inizio della missione di Gesù nella sinagoga di Nazareth (cfr Lc 4,16-30); il cammino che Egli fa da Risorto accanto ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35); e infine la parabola del seme (cfr Mc 4,26-27).

Gesù è unto dallo Spirito e mandato. Essere discepolo missionario significa partecipare attivamente alla missione del Cristo, che Gesù stesso descrive nella sinagoga di Nazareth: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Questa è anche la nostra missione: essere unti dallo Spirito e andare verso i fratelli ad annunciare la Parola, diventando per essi uno strumento di salvezza.

Gesù si affianca al nostro cammino. Dinanzi alle domande che emergono dal cuore dell’uomo e alle sfide che si levano dalla realtà, possiamo provare una sensazione di smarrimento e avvertire un deficit di energie e di speranza. C’è il rischio che la missione cristiana appaia come una mera utopia irrealizzabile o, comunque, una realtà che supera le nostre forze. Ma se contempliamo Gesù Risorto, che cammina accanto ai discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-15), la nostra fiducia può essere ravvivata; in questa scena evangelica, abbiamo una vera e propria “liturgia della strada”, che precede quella della Parola e del Pane spezzato e ci comunica che, in ogni nostro passo, Gesù è accanto a noi! I due discepoli, feriti dallo scandalo della Croce, stanno ritornando a casa percorrendo la via della sconfitta: portano nel cuore una speranza infranta e un sogno che non si è realizzato. In loro la tristezza ha preso il posto della gioia del Vangelo. Che cosa fa Gesù? Non li giudica, percorre la loro stessa strada e, invece di innalzare un muro, apre una nuova breccia. Lentamente trasforma il loro scoraggiamento, fa ardere il loro cuore e apre i loro occhi, annunciando la Parola e spezzando il Pane. Allo stesso modo, il cristiano non porta da solo l’impegno della missione, ma sperimenta, anche nelle fatiche e nelle incomprensioni, «che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 266).

Gesù fa germogliare il seme. Infine, è importante imparare dal Vangelo lo stile dell’annuncio. Non di rado, infatti, anche con le migliori intenzioni, può succedere di indulgere a una certa smania di potere, al proselitismo o al fanatismo intollerante. Il Vangelo, invece, ci invita a rifiutare l’idolatria del successo e della potenza, la preoccupazione eccessiva per le strutture, e una certa ansia che risponde più a uno spirito di conquista che a quello del servizio. Il seme del Regno, benché piccolo, invisibile e talvolta insignificante, cresce silenziosamente grazie all’opera incessante di Dio: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27). Questa è la nostra prima fiducia: Dio supera le nostre aspettative e ci sorprende con la sua generosità, facendo germogliare i frutti del nostro lavoro oltre i calcoli dell’efficienza umana.

Con questa fiducia evangelica ci apriamo all’azione silenziosa dello Spirito, che è il fondamento della missione. Non potrà mai esserci né pastorale vocazionale, né missione cristiana senza la preghiera assidua e contemplativa. In tal senso, occorre alimentare la vita cristiana con l’ascolto della Parola di Dio e, soprattutto, curare la relazione personale con il Signore nell’adorazione eucaristica, “luogo” privilegiato di incontro con Dio.

È questa intima amicizia con il Signore che desidero vivamente incoraggiare, soprattutto per implorare dall’alto nuove vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Il Popolo di Dio ha bisogno di essere guidato da pastori che spendono la loro vita a servizio del Vangelo. Perciò, chiedo alle comunità parrocchiali, alle associazioni e ai numerosi gruppi di preghiera presenti nella Chiesa: contro la tentazione dello scoraggiamento, continuate a pregare il Signore perché mandi operai nella sua messe e ci dia sacerdoti innamorati del Vangelo, capaci di farsi prossimi con i fratelli ed essere, così, segno vivo dell’amore misericordioso di Dio.

Cari fratelli e sorelle, ancora oggi possiamo ritrovare l’ardore dell’annuncio e proporre, soprattutto ai giovani, la sequela di Cristo. Dinanzi alla diffusa sensazione di una fede stanca o ridotta a meri “doveri da compiere”, i nostri giovani hanno il desiderio di scoprire il fascino sempre attuale della figura di Gesù, di lasciarsi interrogare e provocare dalle sue parole e dai suoi gesti e, infine, di sognare, grazie a Lui, una vita pienamente umana, lieta di spendersi nell’amore.

Maria Santissima, Madre del nostro Salvatore, ha avuto il coraggio di abbracciare questo sogno di Dio, mettendo la sua giovinezza e il suo entusiasmo nelle sue mani. La sua intercessione ci ottenga la stessa apertura di cuore, la prontezza nel proferire il nostro “Eccomi” alla chiamata del Signore e la gioia di metterci in viaggio (cfr Lc 1,39), come Lei, per annunciarlo al mondo intero.

Dal Vaticano, 27 novembre 2016, prima Domenica di Avvento

Franciscus