La chiamata liberante di Dio
Nel suo messaggio per la 57ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, papa Francesco si ferma su quattro ‘parole per la vocazione’: gratitudine, coraggio, fatica e lode. Il papa le riprende dall’episodio di Gesù che cammina sulle acque, nel racconto di Matteo (14, 22-33), dove c’è anche il particolare di Pietro che, chiamato da Gesù, si mette anche lui a camminare sull’acqua – salvo affondare quasi subito, vedendo che il vento era forte e lasciandosi prendere dalla paura.
Il messaggio porta la data dell’8 marzo, II domenica di Quaresima. Meno di tre settimane dopo, il 27 marzo, davanti a una piazza san Pietro completamente vuota, papa Francesco ha parlato al mondo, nel pieno della crisi sanitaria del CoViD-19, commentando l’episodio della tempesta sedata, secondo il racconto di Marco (4,35-41).
Due interventi ravvicinati, con il richiamo a due episodi evangelici che hanno questo elemento in comune: trovarsi in mezzo alle acque agitate, di notte, fare esperienza di insicurezza, di paura, e sperimentare la presenza di Gesù, la cui parola rassicura, conforta, sostiene e, al tempo stesso, chiama.
L’esperienza della precarietà, della fragilità, che abbiamo vissuto in maniera drammatica nelle settimane scorse, e che ancora stiamo vivendo e vivremo, ci fa rinnovare l’invocazione e la chiamata che parte da noi per andare verso Dio: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4, 38); «Signore, salvami!» (Mt 14, 30). Ma forse non ci rendiamo conto che, prima di tutto questo, c’è un’altra chiamata, che parte da Dio e viene verso di noi, ed è la chiamata anzitutto della fede: «Poi disse loro: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”» (Mc 4,40); «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Mt 14,31).
Sì, Dio ci chiama, ci invoca, e la risposta a questa chiamata è appunto la fede di chi si riconosce atteso, cercato, amato da sempre: e lo riconosce (anche se a volte il riconoscimento passa attraverso la paura, lo sgomento) soprattutto quando si trova nella distretta, quando fa esperienza di fragilità e di pochezza.
Ma Dio continua a chiamare, e non solo per darci consolazione e pace. Il suo appello alla fede è una chiamata a «cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita» (Francesco, Omelia del 27 apr. 2020).
È dunque anche tempo propizio a scoprire o riscoprire la chiamata della nostra vita. «Il Signore ci chiama perché vuole renderci come Pietro, capaci di “camminare sulle acque”, cioè di prendere in mano la nostra vita per metterla al servizio del Vangelo, nei modi concreti e quotidiani che Egli ci indica, e specialmente nelle diverse forme di vocazione laicale, presbiterale e di vita consacrata» (Francesco, Messaggio per 57ª Giornata di preghiera per le vocazioni).
Non c’è uscita dalla paura, dalla fragilità, dallo sconcerto, semplicemente in una consolazione a buon mercato. Questa uscita c’è, ma consiste nell’ascoltare il Signore che chiama, e chiamando offre una possibilità di vita e di dono di sé: perché solo così si è veramente liberi da ogni paura; si è liberi quando ci si sente amati, chiamati, e mandati.
Chiediamo al Signore, celebrando la Giornata di preghiera per le vocazioni, di sentire in noi questa chiamata liberante; ringraziamo per tutti quelli e quelle che ci testimoniano, in tante forme di vita cristiana – il matrimonio, la consacrazione a Dio, il ministero ordinato, la missione… – questa libertà divina. Domandiamo, specialmente per i giovani, la grazia di sentirsi chiamati nell’amore di Dio a uscire dalla paura e dal ripiegamento su di sé, e la gioia di donarsi senza riserve a Dio e ai fratelli.
+Daniele Gianotti